La formazione dello stato egizio è avvolta nelle nebbie che portarono l’uomo alla rivoluzione neolitica; se l’antica e per certi versi misteriosa lingua egizia ha rivelato molti dei suoi enigmi, restano ancora da decifrare le condizioni e le modalità che portarono gruppi sparsi di agricoltori alla formazione di una delle più gloriose civiltà dal mondo antico. Per diverso tempo infatti la nascita della civiltà egizia è stato un duro banco di prova per generazioni di egittologi, il famoso “anello mancante” della teoria dell’evoluzione era un problema che affliggeva anche il mondo dell’egittologia. La civiltà dei faraoni sembrava essere spuntata dal nulla: religione, scrittura, simbologia, organizzazione dello stato, religione, tutti gli elementi della cultura egizia erano già perfetta- mente strutturati sin dalla prima dinastia. Non esisteva un legame con la preistoria della Valle del Nilo, ma solo degli elementi già pronti e codificati. Per molti studiosi diverse caratteristiche della cultura egizia hanno una chiara influenza mesopotamica, tanto da suggerire una derivazione di idee e concetti dalla terra di Sumer; in sostanza, l’Egitto non è frutto dell’Egitto ma un surrogato di influenze esterne. Tuttavia, recenti scoperte avvenute nel deserto orientale fra il Nilo e il Mar Rosso hanno permesso di dare una risposta a diversi quesiti e di riconsegnare all’Egitto la propria genesi.
Il paesaggio del deserto è unico e affascinante, ma allo stesso tempo può essere letale; sino all’avvento dei moderni navigatori GPS era impossibile orientarsi senza l’aiuto di una guida locale. Eppure, agli inizi del secolo scorso, tutto ciò non impedì a sir Arthur Weigall di programmare una spedizione nel Sahara Orientale lungo il Wadi Hammamat. Nominato Ispettore Generale delle Antichità dell’Alto Egitto al posto di Howard Carter, Weigall condusse diverse spedizioni in Nubia prima di partire per il Deserto Orientale nel novembre del 1907. Coerente con lo spirito avventuriero degli inizi del Novecento, Weigall partì da Luxor con tre amici inglesi, un servo, una guida, due soldati e tredici cammellieri. Naturalmente il viaggio non fu dei più comodi e per renderlo più confortevole dei ventitré cammelli “assoldati” per la spedizione quattordici furono destinati al trasporto di tende, viveri e vettovaglie. Il viaggio andò a rilento, una carovana del genere poteva percorrere al massimo circa quarantotto chilometri al giorno, e l’abitudine ad uno standard di vita elevato non aiutò di certo gli esploratori ad accelerare i tempi. In ogni caso Weigall fece la sua prima scoperta presso Qusur el-Banat dove notò una serie di geroglifici risalenti al Medio Regno. Nel 1908 preparò una nuova spedizione a cui partecipò anche sua moglie; il punto di partenza fu la città di Elkab, mentre l’area del deserto esplorata fu il Wadi Barramiya. Lo scopo di questa spedizione non era quello di cercare petroglifi ma la visita del tempio di Seti I a Kanais. Quando Weigall raggiunse il luogo prestabilito restò affascinato da una serie di petroglifi che subito identificò come preistorici; a differenza del pensiero dell’epoca, riconobbe subito la mano degli artisti egizi, ma la sua pubblicazione del 1909, che rappresenta il primo dettagliato resoconto dell’arte preistorica dell’Antico Egitto, passò inosservata. L’archeologia dell’epoca e i media erano concentrati sulle “quotidiane” scoperte nella Valle dei Re, che di li a pochi anni avrebbe restituito al mondo per la prima volta la tomba involata di un faraone.
Bisognerà attendere gli anni Trenta per incontrare un altro temerario esploratore, si tratta di Hans Alexander Winkler, simpatizzante del partito Nazionalsocialista che esplorò il Deserto Orientale dal Novembre del 1936 al Gennaio del 1937, alla ricerca delle tracce della “razza superiore” che aveva dato origine alla gloriosa civiltà faraonica. Era impossibile infatti, secondo le teorie ariane, che la millenaria civiltà egizia fosse il frutto dell’evoluzione culturale dei “selvaggi africani”. Le sue ricerche lo portarono a registrare decine di siti, contenenti una serie di petroglifi che raffigurano tutti i simboli e i concetti dell’ideologia faraonica. In particolare, il sito 26 riporta il graffito di una barca
lunga 1,8 metri con cinque figure sopra, due delle quali raggiungono un’altezza di 1,2 metri e portano in testa le caratteristiche piume delle divinità, mentre nel sito 18 rinviene due nomi regali e la più antica rappresentazione di un re che porta la corona rossa. Durante la spedizione Winkler svolge un lavoro meticoloso, annota la posizione di tutti i siti visitati e produce una vasta documentazione fotografica ricoprendo a volte i petroglifi col gesso per migliorare la qualità delle foto. La scoperta di numerosi graffiti raffiguranti barche rafforza in Winkler la convinzione della conquista dell’Egitto da parte di una “razza superiore”, giunta da Oriente attraverso il mare. Il monumentale lavoro di Winkler fu però bruscamente interrotto dalla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale trovò la morte nel 1945 in Polonia. Le sue ricerche non furono mai pubblicate per intero, esiste solo una breve edizione intitolata “Rock Drawings of Upper Egypt” che raccoglie brevi annotazioni e alcune fotografie.
Per circa cinquant’anni i petroglifi del Deserto Orientale entrarono nel dimenticatoio, sino a quando il discusso egittologo David Rohl li riportò alla ribalta nel suo libro “Legend. The Genesis of Civilization“, in cui attraverso una serie di dati archeologici cerca di dimostrare la veridicità di alcuni racconti del Vecchio Testamento. In particolare riprende le pionieristiche ricerche di Winkler proseguendo le sue ricerche organizzando nuove spedizioni nel Deserto Orientale. La conclusione cui giunge ricorda in maniera sconcertante il concetto di “razza superiore” in auge nella Germania degli anni Trenta: una civiltà superiore è giunta in Egitto dal deserto, dando origine alla civiltà dei faraoni. Rohl identifica il luogo d’origine di questa mitica civiltà con la Mesopotamia e cita le numerose barche rinvenute nei petroglifi del Deserto Orientale come prova a supporto della sua teoria.
La spedizione del 2000 ad opera dell’egittologo Toby Wilkinson ha ampliato le scoperte di Winkler con la scoperta di nuovi importantissimi siti, fra cui il più importante è senz’altro quello rinominato “Jacuzzi”, una parete rocciosa completamente ricoperta di graffiti: gazzelle, struzzi, ippopotami, barche a remi, un dio con due piume in testa che porta una mucca legata e tre enormi giraffe. La presenza di questi animali ha permesso la datazione dei petroglifi ad un periodo in cui il Deserto Orientale era umido, con un ambiente molto simile a quello della Savana, corrispondente all’incirca a 6000 anni fa. Ma la spedizione di Wilkinson scopre decine di altri graffiti che dimostrano in maniera inequivocabile che la genesi dello stato egizio è da ricercarsi all’interno dell’Egitto stesso. Le barche trainate da un gruppo di persone rinvenute nel Wadi Hammamat e nel Wadi Abu Wasil anticipano di 2500 anni le immagini del Nuovo Regno; le figure antropomorfe e gli animali divinizzati trasportati sulle barche, i capi con le mazze in mano, il viaggio dell’anima sulla barca, tutte queste immagini non sono altro che i semi della futura civiltà faraonica. Se per decenni la teoria della “razza superiore” ha avuto successo è stato solo perché le conoscenze sulla preistoria dell’Egitto erano molto scarse, ma le recenti scoperte confermano in maniera inequivocabile la “genesi nera” della civiltà egizia, un’eredità che i primi centri urbani dell’Alto Egitto raccolsero per estendere la loro influenza culturale.
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