L’Egitto faraonico era etnocentrico, vedeva se stesso al centro del mondo; le realtà straniere erano viste come un qualcosa di nebuloso, disorganizzato, caotico, l’opposto rispetto al regno delle Due Terre dove regnava la Maat. Come garante dell’ordine cosmico, nei confronti dei popoli confinanti con l’Egitto il faraone aveva carta bianca nelle sue decisioni; durante tutta la storia egizia, gli stranieri sono visti come “disturbatori” dell’ordine stabilito, quindi l’intervento del faraone è un atto dovuto.
Come nelle più grandi religioni monoteiste odierne, la “diversità” delle popolazioni straniere è vista dagli antichi egizi come parte di un unico atto creativo del demiurgo, come testimonia un passo dell’Inno ad Amun-Ra:
“È Atum che ha creato gli uomini, che ha distinto la loro natura e li ha fatti vivere, che ha distinto l’uno dall’altro i colori della pelle”
Spesso gli stranieri erano insediati come guardia del corpo del faraone, molti reparti dell’esercito egizio erano costituiti da contingenti esteri, ma i soldati non erano obbligati ad assumere i costumi egizi: i soldati nubiani portano le loro tipiche armi (arco e ascia) e indossano i loro tipici costumi; i mercenari libici continuano a tatuarsi il corpo. Ogni reparto militare straniero conservava il suo costume nazionale e le proprie acconciature caratteristiche, che ben figuravano durante le parate militari. In nessun caso però si registra la presenza di vere e proprie colonie di stranieri in Egitto sino all’arrivo dei Greci.
Omero e l’Egitto
“Pur se anelavo a tornare, gli dèi mi trattennero in Egitto perché a essi non avevo immolato ecatombi perfette: vogliono i numi che sempre ci ricordiamo dei loro comandi. Orbene, nel mare irto di flutti c’è, di fronte all’Egitto, un’isola che chiamano Faro, tanto distante quanto una concava nave procede in una giornata se vento sonoro dietro le spiri. E in essa c’è un porto con facili approdi, donde spingono in mare le navi ben equilibrate quando l’acqua scura abbiano attinto…”
Questo passo di Omero, tratto dall’Odissea, nasconde probabilmente antichi ricordi di un legame commerciale fra Micenei ed Egizi; ci troviamo nelle nebbie del mito, dove però realtà e finzione, abilmente miscelati, fanno da sfondo a vicende storiche realmente accadute. L’isola di Faro, che sarebbe divenuta la sede del grande faro di Alessandria, è descritta da Omero come un ottimo porto “con facili approdi”; non a caso sarà scelta da Alessandro Magno come porto della sua Alessandria.
Questi rapporti, sicuramente di natura commerciale, sono testimoniati da sporadici ritrovamenti di ceramica micenea lungo il corso del Nilo fino a Tebe e in località meridionali come Assuan e la Nubia, anche se molto isolati. La maggior parte dei ritrovamenti riguarda anfore destinate al trasporto dell’olio, a testimonianza di un intenso commercio di questo bene di cui i greci, ricchi di oliveti, erano uno dei maggiori produttori. La sporadicità dei ritrovamenti non consente di confermare l’esistenza di comunità permanenti di greci, cosa che avverrà solo molti secoli dopo, ma è molto probabile che un cospicuo numero di mercanti risiedessero in Egitto in determinati periodi dell’anno.
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